Napolitano, Di Pietro e i silenzi.

Antonio Di Pietro

Scritto un anno fa, il giorno della memoria 

 Perché chiedere il silenzio su una veritá che lo Stato non ha mai chiarito é uno sbaglio. Quello di cui abbiamo bisogno è che finalmente qualcuno che sa parli.

Esimio Presidente, nel giorno della memoria Lei ha chiesto che “Gli ex terroristi che hanno avuto benefici carcerari non devono cercare tribune per giustificare i loro atti di violenza”. Parole sante. Al terrorismo e all’omicidio non ci sono giustificazioni di sorta, né ideologiche né politiche. Ma se ai terroristi dobbiamo chiudere ogni tribuna che dia loro la possibilitá di perpetuare le loro logiche eversive, lo Stato ha un obbligo: parlare.

Parlare per chiarire tutti i lati oscuri della vicenda Moro, compresi i silenzi imbarazzanti dei Ministri dell’Interno, fra i quali Lei, depositari di documenti scottanti e mai pubblicati sulle figure, i contatti e le circostanze di questo delitto orribile. Resta da spiegare come mai certo Giovanni Senzani potesse essere contemporaneamente membro del direttivo strategico delle Brigate Rosse a Firenze e consulente del Viminale a Roma nei giorni della crisi. Resta da chiarire dove e come Mario Moretti, l’assassino che sparó gli otto colpi mortali ad Aldo Moro, si fosse procurato una macchina stampatrice AB DIK 360 proveniente dal Rus (reparto unità speciali), uno degli uffici del Sismi da cui dipendeva “Operazione Gladio. Con quella macchina le Brigate rosse stampavano i loro volantini durante il sequestro. Richiesto di spiegazioni il Sismi, rovescia su magistratura e commissioni d’inchiesta una valanga di bugie: il Rus sarebbe un ufficio di “sostegno al personale di leva in servizio” (falso) e la stampatrice sarebbe stata venduta come “rottame” dal colonnello del Sismi Federico Appel a suo cognato Renato Bruni, per trentamila lire. In realtà tra i “rottami” di cui il Sismi si è liberato in quegli anni non risulta esserci nessuna stampatrice. Inoltre la AB DIK 360 era stata comprata per dieci milioni e mezzo tre anni prima ed era ancora in ottime condizioni. Se la versione di Appel fosse vera egli dovrebbe almeno essere incriminato per peculato, cosa che non è accaduta. Ma tutta la versione del Sismi sui passaggi di mano della. stampatrice fino alla tipografia delle Br risulterà inventata a tavolino. E Moretti, dal canto suo, non ha mai dato una spiegazione convincente della provenienza della macchina e si trova dal 1994 in libertà condizionata e lavora attualmente come coordinatore del laboratorio di informatica della Regione Lombardia. Resta da spiegare dove i terroristi si rifornirono di armi e munizioni usate per il rapimento.

Secondo il perito del tribunale, 39 dei bossoli ritrovati in Via Fani provengono da uno stock in dotazione «a forze militari non convenzionali» (Gladio?). Essi sono inoltre ricoperti di una vernice protettiva adatta alle lunghe conservazioni. Resta da chiarire il ruolo che nella vicenda ricoprì Steve Pieczenik, “consulente di crisi” del dipartimento di Stato americano che diede a Cossiga alcuni consigli (direttive?) precisi. Il controllo assoluto delle notizie, avvalorare la teoria di un Aldo Moro non padrone delle proprie facoltá mentali, diffondere l’idea di un Aldo Moro non indispensabile alla politica italiana e comunque sostituibile, isolare la famiglia Moro. Sarebbe anche interessante chiarire chi fossero i componenti del cosiddetto „gruppo gestione crisi”, che lavorò in modo del tutto misterioso. Formalizzato su proposta dello stesso Cossiga da un documento del Cesis (il comitato di coordinamento dei servizi segreti) del 16 marzo, il comitato di “gestione crisi” fu caratterizzato dalla presenza di alcuni amici personali del ministro, parte dei quali iscritti alla loggia di Gelli: come il professor Franco Ferracuti, uno psichiatra che ebbe grande peso, insieme al “consulente di crisi” del dipartimento di Stato americano Steve Pieczenik ad avvalorare la tesi di Moro “fuori di sé”. Dagli interrogatori di Ferracuti e di altri componenti di questo “comitato-ombra” risulta che esso si riuniva in luoghi sempre diversi con scadenze non prefissate, e che il numero dei presenti variava di volta in volta. A proposito dei verbali delle riunioni del comitato di crisi, affannosamente e inutilmente richiesti al ministero dell’Interno, molti anni dopo, dalla commissione parlamentare sulle stragi, una testimonianza preziosa è venuta proprio da Franco Ferracuti: “Concluso il caso Moro, ho parlato con Cossiga, e gli ho spiegato che le carte sul “caso” erano un pezzo della storia d’Italia, e che ci si doveva preoccupare di salvarle tutte. Lui mi aveva risposto di esserne consapevole, e che se ne sarebbe occupato. Certo, per quello che dico non ho prove, ma quando sono tornato ho chiesto ad alcuni amici del Viminale dove erano finiti tutti quei materiali. Mi hanno risposto che era sparito tutto. Forse Cossiga… per motivi storici, o qualcosa del genere”. Resta da chiarire il ruolo di Licio Gelli che faceva parte di questo gruppo di consulenti straordinari che avrebbe avuto a disposizione un ufficio nell’edificio della Marina militare in piazzale della Marina 1 a Roma, dove era affettuosamente chiamato “micio micio” o “il Marchese”.

Ah!, Esimio Presidente, la lista è lunga! Nei minuti successivi al rapimento, la rete telefonica attorno a Via Fani collassó e i tecnici della Sip chiamati ad intercettare le telefonate di alcuni dei personaggi coinvolti, fallirono puntualmente nell’adempimento del loro lavoro “dimenticando” ogni volta di registrare numeri e nominativi degli interlocutori. Il dottor Domenico Spinella, capo della Digos, dichiarò in commissione di aver constatato “un atteggiamento di assoluta non collaborazione da parte della Sip, che ancora oggi dovrebbe essere perseguito dall’autorità giudiziaria”. La Sip dipendeva all’epoca dalla Stet, di cui era amministratore delegato Michele Principe, iscritto alla loggia P2. Emilio Santillo, uno dei piú esperti investigatori dell’epoca, fu “promosso” ad altro incarico per far posto al questore Antonio Fariello, che in almeno un paio di occasioni ebbe un ruolo non indifferente nel ritardare e intralciare le indagini sul sequestro Moro. Il 3 aprile si riparlerà di “Gradoli”: nel corso di una seduta spiritica, a cui partecipa Romano Prodi, una “entità” avrebbe indicato “Gradoli” come luogo in cui è tenuto prigioniero Aldo Moro. Sulla base della segnalazione dall’aldilà il 6 aprile una perlustrazione viene organizzata a Gradoli, un paesino in provincia di Viterbo. Al ministero dell’Interno, che aveva in precedenza ricevuto la segnalazione su Via Gradoli, nessuno mette in collegamento le due cose. E’ la moglie di Moro, Eleonora, a chiedere se non potrebbe trattarsi di una via di Roma. Cossiga in persona, secondo la testimonianza resa in commissione da Agnese Moro, risponde di no. In realtà Via Gradoli esiste, e sta sulle pagine gialle.
Il 18 aprile quella porta dietro cui forse era stato nascosto, fino a qualche giorno prima, lo stesso Aldo Moro, viene finalmente sfondata. Non da polizia e carabinieri però, ma da pompieri; che ci arrivano a causa di un allagamento. Secondo alcuni, la perlustrazione a Gradoli in Abruzzo avviene per avvertire Mario Moretti che qualcosa non ha funzionato e che il suo covo è scoperto, dandogli il tempo di far armi e bagagli e trasferire lo stesso altrove. Mino Pecorelli, il giornalista di OP poi ucciso dalla mafia, da prima del rapimento scriveva articoli dal titolo “Il Morobondo” o “Il ministro morirá a maggio”. Alle 8,30 del 16 marzo, mezz’ora prima dell’agguato, Renzo Rossellini, direttore di Radio Città futura, parlò di un possibile attentato a Moro. Rossellini spiegò in seguito che la voce sul sequestro di Moro circolava da tempo.

Dopo una prigionia di 55 giorni, il cadavere di Aldo Moro fu ritrovato il 9 maggio nel cofano di una Renault 4 rossa a Roma, in via Caetani, emblematicamente vicina sia a Piazza del Gesù (dov’era la sede nazionale della Democrazia Cristiana), sia a via delle Botteghe Oscure (dove era la sede nazionale del Partito Comunista Italiano). Via Caetani è da un paio di giorni chiusa al traffico per lavori alla pavimentazione stradale e nel palazzo antistante al luogo del ritrovamento si trova un appartamento cospirativo dei servizi segreti. Nel settembre del 1974 Moro, in veste di ministro degli Esteri, aveva incontrato a Washington il segretario di Stato americano Henry Kissinger. L’uomo “forte” dell’amministrazione americana, notoriamente legato ai circoli massonici internazionali, aveva affrontato il ministro italiano a muso duro: “Onorevole – gli aveva detto – lei deve smettere di perseguire il suo piano politico per portare tutte le forze del suo paese a collaborare direttamente. Qui, o lei smette di fare questa cosa, o lei la pagherà cara. Veda lei come la vuole intendere”.
Moro fu molto turbato. Interruppe la visita con qualche giorno di anticipo, a causa di un malore, e confidò al suo segretario, Corrado Guerzoni, la volontà di non fare più politica per due o tre anni. Tornato a casa riferì alla moglie, parola per parola, ciò che gli era stato detto. Non lo faceva quasi mai.

Vede, Esimio Presidente, perché non è di silenzio che abbiamo bisogno. Il silenzio è nemico della democrazia. “Conosci la veritá e sarai libero” diceva il filosofo greco.

Esimio Presidente, faccia di questo Paese un Paese libero dalla schiavitú dei silenzi e dei segreti e lasci che chiunque sia disposto a farlo, ci dica la veritá.

P.S.: Molti dei Link che avevo messo a questo articolo non sono piú disponibili in rete. Ad esempio il video dell’intervista di Corrado Guerzoni, segretario di Moro, con la Giornalista Annunziata e i Link del sito Macchianera che aveva pubblicato una notevole raccolta delle lettere di Moro durante la prigionia. Allego qui un paio di Link che comunque riportano alla vicenda.

http://www.valeriolucarelli.it/Borse.htm

http://www.archivio900.it/it/articoli/art.aspx?id=8159

http://www.carmillaonline.com/archives/2003/06/000282print.html

http://www.dongiorgio.it/pagine/pagine.php?id=997&nome=politica

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